È un pinolo raccolto nelle pinete costiere di pino domestico presenti all’interno dell’area protetta.
L’olio che contiene presenta un elevato valore dal punto di vista dietetico e nutrizionale per l’elevato contenuto in acidi grassi insaturi quali il linoleico e l’oleico.
Il colore è giallo chiaro, la consistenza pastosa non croccante e il sapore risulta gradevole, mediamente aromatico e leggermente resinoso.
I pinoli sono estratti dalle pine secondo il metodo tradizionale e non subiscono alcun trattamento chimico.
La ciliegia di Lari è un frutto tipico che nasce nella campagna pisana; grazie al suo sapore dolce e alle sue caratteristiche organolettiche uniche, questa ciliegia è amata e conosciuta in tutta la Toscana ed è la protagonista di una grande festa che si svolge ogni anno a Lari. Nel 2023 ha ottenuto il riconoscimento IGP. Vanta una storia molto antica. Alcuni documenti testimoniano la presenza di tale frutto già a partire dal Cinquecento.
Ogni anno a giugno a Lari si tiene la Sagra delle Ciliegie, un evento che fa parte della tradizione e dell’identità locale.
(Calocybe gambosa) Fungo primaverile tipico dei prati e del sottobosco dell’Alta Val di Cecina. È un ottimo fungo commestibile, conosciuto col nome di Prugnòlo perché cresce spesso accanto alle piante di prugnolo selvatico.
La carne è spessa, soda e compatta, bianca o con leggere sfumature color crema, immutabile, sapore gradevole, odore caratteristico, molto accentuato di farina fresca o pane fresco.
San Miniato è una delle zone tartufigene più estese e fruttuose d’Europa e il tartufo bianco delle Colline Sanminiatesi (Tuber Magnatum Pico) è la specie più pregiata.
Presenta uno strato esterno liscio, di colore giallo chiaro o verdino, e una polpa dal marrone al nocciola più o meno tenue, talvolta sfumata di rosso vivo, con venature chiare, fini e numerose che scompaiono con la cottura. Ha dimensioni variabili da quelle di una cariosside di mais a quelle di una grossa arancia, al massimo. Emana un profumo forte e gradevole, simile all’odore di metano o a quello del formaggio fermentato.
La Farina di Neccio della Garfagnana DOP è una farina ottenuta dalla macinatura di castagne secche.
Le castagne vengono raccolte nei mesi di ottobre e novembre per poi essere essiccate nelle storiche strutture dei “metati”. Dopo circa 40 giorni, le castagne vengono sbucciate e vengono eliminate le parti impure. I mulini provvedono poi alla trasformazione delle castagne secche in farina mediante macine di pietra. Il prodotto finito si distingue per un colore che va dal bianco fino all’avorio scuro; ha consistenza fine al tatto e il sapore ha una leggera nota amarognola.
Il termine “neccio” nella zona della Garfagnana assume il significato di “castagno” ed ha origini molto antiche. La coltivazione del castagno da frutto in Garfagnana ha inizio intorno all’anno mille quando, per far fronte al crescente incremento demografico, si misero a coltura vaste aree incolte e si ebbe così l’affermarsi del castagno, l’albero del pane.
La storia e la tradizione del pane di Altopascio si ritrova già nel Medioevo, quando ai pellegrini di passaggio veniva offerto un tozzo di pane.
Il pane di Altopascio tradizionale è prodotto senza lievito; per la lievitazione è utilizzato un impasto particolare detto “la sconcia” che è prodotto quotidianamente.
Come nella migliore tradizione toscana, è senza sale! Il prodotto è ottenuto dalla lavorazione della farina di grano tenero, tipo 0, lievito naturale e acqua, uno dei segreti del suo apprezzato sapore. I pani prodotti hanno forma quadrangolare (bozza) o allungata (filone), una consistenza morbida all’interno e una crosta croccante di colore chiaro e dorato. Si accompagna bene a salumi, zuppe, formaggi e perfino nel modo più semplice risulta saporito, cioè con un filo d’olio extravergine d’oliva ed un pizzico di sale.
Proprio per la particolarità e la tradizione di questo prodotto, Altopascio fa parte dell’Associazione Nazionale “Città del Pane” di cui fanno parte altri 31 comuni in tutta Italia.
Questo insaccato proviene da un’antica tradizione che risale al 1800. È un salume che possiamo trovare in due tipologie: una di forma allungata del peso di circa 700 gr-1 kg, l’altra di forma più rotondeggiante del peso di 4-6 kg.
Il tizzone è un salume tipico della località di Giustagnana, nel comune di Seravezza. Il colore esterno è piuttosto scuro per il contatto prolungato del prodotto con la cenere, infatti riposa e matura per settimane sotto la cenere prima di arrivare in tavola. La cenere utilizzata deriva dalla combustione di legnami diversi quali olivo, castagno, scopa, con aggiunta di aghi di pino. Il passaggio in cenere, oltre ad aumentare la conservabilità del prodotto, lo arricchisce di aromi e gli fa assumere un gusto molto particolare.
Per avere carni asciutte in grado di conservarsi meglio e di non richiedere l’aggiunta di coloranti e addensanti, i maiali di razza Landrace sono sottoposti a una dieta alimentare che ricorre per circa il 70% del fabbisogno ad alimenti di provenienza aziendale e solo per la restante parte a farine di provenienza esterna e a scarti di lavorazione casearia. Castagne, patate, mele, verdure, talvolta ghiande sono regolarmente somministrate e contribuiscono al raggiungimento di un elevato standard qualitativo.
Le parti magre e grasse, una volta assortite, vengono impastate manualmente. Viene poi aggiunta una miscela di aromi opportunamente dosati. Una volta insaccato, il salume viene messo ad asciugare in cantina per un periodo variabile dalle due settimane, per le forme più piccole, fino ai 2-3 mesi per le forme più grandi. A questo punto avviene la conservazione sotto la cenere per un periodo variabile da 1 mese, per le forme piccole, a 3-4 mesi per le forme grandi.
La testa in cassetta o soppressata è un insaccato generalmente di grosse dimensioni, circa 20 Kg. E’ caratterizzata da una forma rotonda e schiacciata con un diametro di 10/15 cm, si possono trovare anche dimensioni più piccole. L’impasto è costituito da frammenti grossolani di carne di maiale, ha una consistenza morbida, colore rosso scuro tendente al grigio/marrone ed ha un profumo intenso.
Le parti che la compongono sono una selezione di collo, testa e guance del suino, queste vengono tagliate in pezzi non tanto piccoli. Dopo una cottura prolungata, si impastano le carni cotte aggiungendo sale, pepe in grani, chiodi di garofano, noce moscata, cannella, coriandolo, aglio e mais. Il tutto viene lasciato a scolare per alcuni minuti in sacchi o in fodere di tela o di iuta, oppure in cassette di legno continuando ad amalgamare bene per facilitare la perdita di acqua. Infine viene insaccato in un budello vaccino fresco.
Questo insaccato è adatto da servire e gustare come antipasto, aperitivo, accompagnato da pane e/o formaggi.
La storia di questo prodotto lucchese risale a tempi molto antichi. Tutti i norcini, sia della piana di Lucca che della Valle del Serchio, ricordano che la salsiccia viene prodotta in queste zone da sempre.
La tecnica di lavorazione e l’aspetto esteriore, rimasti pressoché invariati nel tempo, confermano la tradizionalità di questo prodotto.
Si presenta come “topini”, cioè forme cilindriche di circa 7-9 cm di lunghezza e circa 5 cm di diametro, legati insieme ma distinti da un filo di spago che corre per tutta la lunghezza del budello (2-3 metri). I “topini” sono tra le caratteristiche distintive del prodotto sia per l’irregolarità nella loro conformazione artigianale, che per il loro aspetto assai “tozzo”, rispetto alle comuni salsicce.
Il rapporto equilibrato tra parte magra e parte grassa rende l’impasto delicato e morbido, tanto da poter essere spalmato sul pane. L’ odore e il sapore della carne sono freschi e speziati. La semplicità nella preparazione e il breve spazio di tempo che passa prima del consumo (4-5 giorni) concorrono indubbiamente al successo di questo insaccato.
Il metodo di lavorazione è molto antico, tanto che un documento relativo alla produzione di questo prosciutto risale al 1797.
Quando i prosciutti prodotti non acquisivano il sapore tipico voluto dal produttore, non venivano messi in commercio e risultavano meno pregiati. Il prodotto mal riuscito, veniva messo a stagionare nei “metati”, tipiche costruzioni usate per essiccare le castagne, come penitenza dopo una cattiva stagionatura. Il prosciutto, durante questa stagionatura, acquisiva un sapore dolce per il contatto ravvicinato con gli aromi delle castagne.
Il prosciutto veniva mangiato dai lavoratori in pause, per pasti semplici; oggi è ottimo per antipasti, aperitivi o accompagnato da un pezzo di pane ed un buon vino rosso.