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Prodotti Il Desco

Olio EVO Lucchese Dop

La coltura dell’olivo, fin dai tempi antichi, ha contraddistinto la provincia di Lucca: basti pensare che intorno alla metà del Quattrocento l’olio di oliva veniva definito “uno dei beni necessari alla vita dell’uomo” e in un trattato sull’olivicoltura del XIX secolo si annovera che “gli oli più celebrati per la loro finezza sono quelli di Lucca che godono di grandissima fama all’estero. A questi si accostano quasi tutti gli altri oli che ricavansi dalla Regione Toscana” *.

Per olio extravergine “Lucca” s’intende l’olio prodotto in un comprensorio geografico, all’interno della provincia di Lucca, ben definito dalla cartografia presentata per la domanda di riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta.
Area di produzione: in tutta la provincia di Lucca, in particolare nei comuni di Capannori, Lucca, Montecarlo, Altopascio, Porcari, Villa Basilica;
Olive: sino al 90% varietà Frantoio; sino al 30% varietà Leccino; percentuali minori (fino al 15%) varietà Pendolino, Maurino ed altre locali minori;
Caratteristiche: acidità totale, espressa in acido oleico, non superiore a grammi 0,5 per 100 grammi di olivo;
Colore: giallo con toni di verde più o meno intensi;
Odore: fruttato di oliva da leggero a medio;
Sapore: dolce con sensazione piccante e di amaro legato all’intensità del fruttato rilevato;
Conservazione: 14-20°C lontano da fonti di calore;
Riconoscimento CE: Denominazione di Origine Protetta (DOP), Reg. CE n. 1845/04 (22 ottobre 2004)

* Testo tratto da “Come si assaggia l’olio d’oliva” di P. Micheletti – Maria Pacini Fazzi Editore.

Il biroldo della Garfagnana

Si tratta di un salume particolare nella cui preparazione vengono impiegati tutti quelle parti di minor pregio del maiale altrimenti non utilizzate. Insieme alla mondiola è il salume per antonomasia della Garfagnana. La sua presenza sul territorio risale a tempi antichissimi, come documentano numerosi documenti. Si produceva nelle famiglie contadine e si presenta sotto varia forma a seconda del tipo di involucro in cui viene insaccato, generalmente ha la forma di una pagnotta rotonda, di colore marrone scuro.

Risulta molto profumato e lascia in bocca un gusto intenso. In una caldaia vengono cotte per circa due ore l’intera testa del maiale, il cuore, la lingua, le cotenne e in alcuni casi il polmone. Dopo aver accuratamente disossato la testa, tutta la carne lessata viene fatta a piccoli pezzi che sono poi amalgamati con sangue, sale, pepe, cannella, noce moscata e chiodi di garofano. Si procede all’insaccatura manuale nella vescica o nello stomaco chiamato anche “buzzetto” del maiale che viene poi cucito e posto a bollire, per altre tre ore nel brodo dove precedentemente era stata cotta la carne. Il biroldo della Garfagnana è disponibile durante tutto l’anno, con una flessione nei mesi estivi.

Viene commercializzato prevalentemente in loco, in minima parte in alcune città della Toscana quali Lucca, Pisa, Livorno e Massa. È riconosciuto come Presidio Slow Food ed alcuni produttori della Garfagnana si sono costituiti in associazione per la sua valorizzazione e salvaguardia. Il biroldo può essere consumato fresco come salume o come antipasto, tagliato a fette sottili o anche scaldato in padella accompagnato da polenta di castagne.

Vini della provincia di Lucca

Nella provincia di Lucca si producono due DOC: Colline Lucchesi e Montecarlo sia bianchi che rossi e diversi IGT Toscana. I vitigni base sono: Sangiovese, Ciliegiolo e Canaiolo per il rosso Colline Lucchesi e Trebbiano toscano, Greco, Grechetto, Vermentino bianco e/o Malvasia del Chianti per il bianco Colline Lucchesi. Per il rosso Montecarlo invece: Sangiovese, Canaiolo nero, Ciliegiolo, Colorino, Malvasia nera, Sjrah mentre per il Montecarlo bianco: Trebbiano toscano, Semillon, Pinot grigio e bianco, Fermentino Sauvignon e Roussanne.

I vini della provincia di LuccaStrada del vino e dell’olio Lucca Montecarlo VersiliaMade in Lucca

Granturco formenton ottofile della Garfagnana

Il granturco presenta grossi chicchi di forma schiacciata e colore giallo oro. La semina avviene in maggio. La raccolta è manuale e, dopo circa 20-30 giorni di seccatura, si effettua la sgranatura meccanizzata e la macinatura.
Il granturco ottofile è una particolare varietà oggi in via di estinzione. La disposizione di chicchi sul tutolo in doppie file binate rende questa varietà molto originale. Si presta ad essere macinato per ottenere un’ottima farina.
Sono circa una decina i produttori di granturco da polenta garfagnino, nei comuni di Camporgiano, Piazza al Serchio, Minucciano, Pieve Fosciana e Castelnuovo Garfagnana.
La quantità annua prodotta si aggira intorno ai 250-300 quintali. La vendita avviene prevalentemente in zona ma viene commercializzato anche nel resto della Toscana. I produttori di questo granoturco, più conosciuto come mais a otto file, sono riuniti un comitato per valorizzare e conservare questo prodotto; il comitato si è già attivato per la creazione di uno stemma e per fornire assistenza tecnica a tutti coloro che intendono coltivare il formenton ottofile.

(Fonte Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale)

Fungo porcino della Garfagnana

I funghi porcini sono funghi pregiati e appartenenti al genere Boletus. Sono fortemente presenti nelle zone collinari e montuose della Garfagnana, nascono spontaneamente e si possono raccogliere dalla fine del periodo estivo, per tutto il periodo autunnale.

Il clima, il terreno e l’altitudine influiscono sia sulla qualità del prodotto, sia sulla sua quantità prodotta; castagneti da frutto o ceduo, querceti, faggete e abetine, cioè abete bianco, sono gli alberi dove si possono trovare i funghi più saporiti, perché prendono tutti i profumi e gli armoni degli arbusti che li circondano.

Il gambo è di colore marrone chiaro mentre la cappella è di un marrone più scuro, variabile a seconda delle specie del sottobosco e del bosco di produzione. La polpa è soda e bianca mentre i tuboli hanno una colorazione che va dal bianco al giallo verdognolo.

Non si parla di un solo fungo porcino, alcune tipologie di questo prodotto variano al variare del periodo di raccolta e delle condizioni pedoclimatiche che si presentavo stagionalmente. Si possono distinguere il fungo estatino, con polpa delicata e profumata, il settembrino, dal cappello rosso, consistente e di grande dimensioni, e il mocciardone o settembrino bianco, il più frequente tra i porcini, bianco, sodo e profumato.

Il sapore, in generale, è delicato ma intenso, con un leggero sentore di tannino, muschio e tallo dell’aglio, con un aroma di sottobosco. il fungo porcino è un prodotto ampiamente usato nella tradizione toscana e lucchese, sotto molteplici forme. Vengono consumati freschi, essiccati o sott’olio.

In particolare i funghi secchi mantengono per lungo tempo il sapore e il gusto. La procedura di essiccazione naturale su graticci permette di preservare maggiormente il gusto del prodotto.

Farro della Garfagnana

Graminacea coltivata da migliaia di anni nel bacino del Mediterraneo, il farro (Triticum dicoccum) è il capostipite di tutti i frumenti oggi conosciuti, compresi il grano tenero (Triticum vulgare) e il grano duro (Triticum durum), la sua coltivazione documentata risale al 7000 a.C. in Siria e Mesopotamia, dove veniva utilizzato per la preparazione di polenta e focacce, è stato l’alimento base degli Assiri, degli Egizi e di tutti i popoli antichi del Medio Oriente e del Nord Africa: con la farina di farro i Romani preparavano la puls, una polenta morbida di cui si cibavano i soldati e le plebi. Con la comparsa del grano, il farro ha subito un “momento di crisi”, ma non in Garfagnana dove è stato sempre coltivato e ancora oggi è brillato negli antichi mulini a pietra.

Il farro della Garfagnana, che ha ottenuto dall’Unione Europea il riconoscimento dell’indicazione geografica protetta ( IGP) nel 1996, deve essere coltivato su terreni idonei, poveri di elementi nutritivi, in una fascia altimetrica fra i 300 e i 1.000 m s.l.m.

La semina avviene in autunno, su terreno precedentemente preparato, utilizzando seme vestito derivante dalla popolazione locale di Triticum dicoccum. La produzione di farro della Garfagnana deve avvenire, secondo la normale consuetudine della zona, senza l’impiego di concimi chimici, fitofarmaci e diserbanti: data l’elevata rusticità della pianta, il farro coltivato con la tecnica tradizionale risulta di fatto un prodotto biologico. La raccolta del farro avviene in estate, con le normali mietitrebbiatrici da grano, le spighette alla trebbiatura si distaccano interamente dal rachide, senza far uscire le cariossidi dalle glume e glumelle (per questo viene denominato “grano vestito”). La produzione massima consentita per ettaro è di 25 quintali di farro vestito.

Il farro della Garfagnana è stato riscoperto oggi per le sue eccellenti proprietà dietetiche e perché le sue fibre svolgono un’azione benefica per l’apparato digerente. Questo cereale è ricco di amido, quindi particolarmente adatto per preparare torte salate, ma in cucina è utilizzato soprattutto come ingrediente di zuppe e minestre: unito a fagioli e verdure si presenta come piatto semplice ma con gusti e profumi del tutto particolari. Ottimo per insalate fredde, farrotti (risotti) con funghi porcini. Si abbina in maniera eccellente ai vini rossi. La granella di farro brillata può anche essere macinata per altri impieghi (paste, pane, biscotti ecc.).

 

Farina di castagne della Garfagnana DOP

Detta comunemente farina di “neccio” ottenuta dalle castagne raccolte, essiccate e poi macinate. Viene usata per farne polente, paste, biscotti, dolci (il tipico “castagnaccio”).

La Garfagnana e la Media Valle del Serchio grazie ad un territorio che favorisce la crescita del castagno, definito in passato anche “albero del pane” perché i suoi frutti hanno sfamato intere popolazioni montane, hanno fatto di questo prodotto il loro biglietto da visita.

La testimonianze più antiche della presenza del castagno nella montagna lucchese risalgono ad alcuni rari documenti del VII° – VIII’ secolo d.C., tuttavia alcuni studiosi, basandosi sul fatto che esistono pochi documenti che testimoniano la presenza del castagno in epoche anteriori al mille, ritengono che a quei tempi tale coltura non fosse molto diffusa sulle nostre montagne. Probabilmente un incremento dei castagneti nella Valle del Serchio si è avuto posteriormente ai secoli del tardo impero romano e dell’alto medioevo.

A partire dal 1400, con il progressivo aumentare della popolazione, crebbe anche l’importanza del castagno tanto che la sua coltivazione subì un notevole incremento fino a raggiungere il suo apice all’inizio dell’ 800.

Il castagno definito anche “albero del pane” perché i suoi frutti hanno sfamato intere popolazioni montane, è stata parte integrante della vita della gente di montagna. I fenomeni dell’emigrazione, il progressivo abbandono delle zone montane , nonché il diffondersi di alcune gravi malattie della pianta, hanno contribuito a ridurre drasticamente le superfici coltivate a castagno.

La farina di neccio della Garfagnana ha colore che varia dal bianco fino all’avorio scuro. Il sapore dolce è caratterizzato da un leggero retrogusto amarognolo; il profumo è quello delle castagne e la consistenza è fine al tatto e al palato. Viene confezionata esclusivamente in sacchetti da 500 gr., 1,00 kg. e da 12 kg. per forni , pasticcerie ecc.

Nella Valle del Serchio la farina di neccio a memoria d’uomo è sempre stata prodotta, un tempo era considerata l’alimento base delle classi umili. Le tecniche di produzione sono rimaste invariate nei secoli.

Zona di produzione: tutti i Comuni della Garfagnana e della Media Valle del Serchio.

Dopo l’eliminazione dei frutti non integri, le castagne vengono poste ad essiccare nel “metato”, su cannicci di legno, per almeno 40 giorni. Quindi vengono sottoposte a battitura (pulitura) e selezione per eliminare i frutti bacati e quelli che non presentano caratteristiche ottimali. La molitura avviene in mulini con macina di pietra (del peso di 5 q.) e la farina ottenuta viene stoccata e infine confezionata.

 

Fagiolo stringa

I Fagioli a stringa, detti comunemente “le stringhe” e conosciuti anche come serpenti, sono un tipico fagiolo rampicante lucchese. Unico nel suo genere per forma, tradizione e importanza!

La pianta da cui nasce il fagiolo è rampicante. Il frutto, la parte edule della pianta, è data da lunghi baccelli di colore verde chiaro e il seme ha un colore rosato. Il periodo di produzione è primaverile-estivo, la raccolta avviene non oltre agosto, quando i fagioli raggiungono una lunghezza di circa 40-50 cm.
Hanno un gusto deciso, del tutto particolare molto diverso dai comuni fagiolini verdi; un po’ amarognolo ed erbaceo, quasi terroso e si cucinano soprattutto in umido, con il sugo di pomodoro fresco.

Fagiolo giallorino della Garfagnana

È un fagiolo tipico della Garfagnana; il baccello fresco presenta una colorazione verde intensa, che a maturazione assume un colore giallo paglierino. Al suo interno sono contenuti, di media, 6-7 fagioli di colore giallo paglierino, di taglia medio/piccola e di forma ovale.
Viene prodotto a livello familiare in gran parte per autoconsumo e solo in parte commercializzato direttamente. La produzione è comunque limitata sebbene sia molto conosciuto e apprezzato in ambito locale per il suo sapore e per la sua buccia fine ma resistente alla cottura. Secondo la tradizione viene conservato in recipienti con pepe e alloro. Viene utilizzato come legume secco e cucinato come contorno in particolare per il baccalà ed il cotechino e come base per la zuppa e il minestrone.

Cipolla lucchese

Ha il bulbo tondeggiante e allungato con pelle bianca screziata di rosso se fresca, completamente rossa se secca. Ha sapore molto forte e piccante, come anche l’odore. Le pezzature variano dai 50 g delle cipolle da consumare fresche, ai circa 350 g di quelle secche.
La cipolla viene prodotta da aprile a novembre con diverse semine nel corso di questo periodo. La coltivazione non è meccanizzata e si avvale di attrezzi artigianali. I bulbi delle cipolle destinate al consumo secco vengono legati tra loro in trecce tramite le loro estremità fibrose.
Si tratta di una cultivar tipica di questa zona, la sola ad essere coltivata ancora con sistemi tradizionali. Le principali caratteristiche sono la particolarità della forma e del gusto. Tradizionale è la confezione delle cipolle secche, intrecciate tra loro per la conservazione e la vendita.

(Fonte Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale)